Migranti: un linguaggio nuovo per annullare il gap tra percezione e realtà In evidenza
Scritto da Gabriele Renzi
"Un linguaggio nuovo per le migrazioni". È questo il titolo della XXVII edizione del Rapporto Immigrazione redatto dalla Caritas Italiana e dalla Fondazione Migrantes che cerca di fotografare la realtà migratoria del paese, analizzandone numeri e tendenze.
Una fotografia che tuttavia non sempre viene raccontata con un linguaggio altrettanto aderente alla realtà.
Ne parla intervenendo su “A Conti Fatti”, trasmissione a cura di Economia Cristiana trasmessa da Radio Vaticana Italia, Oliviero Forti, Responsabile Ufficio immigrazione Caritas Italiana.
Citando dati UNHCR fate notare che nei primi 8 mesi di quest’anno è sbarcato sulle nostre coste l’80% di migranti in meno rispetto allo scorso anno. Ma di che numeri parliamo e quale è lo scenario globale?
I dati UNHCR si riferiscono a un tipo di migrazione che non è contemplata nel nostro rapporto perché riguardano i richiedenti protezione internazionale che effettivamente sono calati in maniera sensibile, in particolare dopo le misure adottate dal Governo italiano volte a scoraggiare le attività di ricerca e soccorso in mare da un lato e dall'altro a stringere rapporti sempre più stretti con la Libia dove molte di queste persone vengono fermate.
Il rapporto si occupa dell'altro mondo dell'immigrazione, che peraltro a livello globale è anche quello più significativo dal punto di vista numerico, cioè quello dei migranti per motivi diversi da quella che è la migrazione forzata: vengono solitamente chiamati migranti economici e si tratta di ormai quasi 260 milioni di persone, numeri enormi, ma che costituiscono appena il 3,4% della popolazione mondiale.
Anche se è chiaro che la loro presenza sembri più visibile di quello che è, non dimentichiamo che sia per i migranti economici che per i rifugiati spesso i luoghi di destinazione non sono quelli che noi immaginiamo, tra cui l'Italia, ma spesso i paesi limitrofi a quelli di origine che comunque subiscono delle forti pressioni migratorie.
In una classifica mondiale l’Italia si attesta al decimo posto per presenza di immigrati; i primi, in testa da tanti anni, rimangono gli Stati Uniti seguiti da un paese che in pochi sanno essere forte paese di immigrazione come l'Arabia Saudita che riceve per motivi di lavoro milioni di persone da altre aree del pianeta.
In Europa è la Germania il paese che ospita il maggior numero di migranti, oltre 12 milioni, l’Italia con i suoi 5 milioni circa è al quinto posto. Eppure il nostro paese figura al primo posto per numero di acquisizioni di cittadinanza, oltre 200.000 pari al 20,3% del totale dell’Europa a 28 paesi. Come mai questo fenomeno?
Il nostro è un paese nel quale è molto complesso riuscire ad ottenere la cittadinanza, molti di quelli che l'hanno chiesta tanti anni fa adesso iniziano a vedere i risultati.
Tante domande giunte negli ultimi anni hanno un esito positivo perché provengono da persone che hanno diritto secondo la legge a ricevere questa opportunità e per questo oggi registriamo un buon incremento; chiaramente però si tratta di concessioni per anno, non del totale delle cittadinanze concesse a livello paese dove non siamo certamente primi, anzi.
Sul tema della cittadinanza come Chiesa abbiamo portato e stiamo portando avanti una campagna volta al riconoscimento nel cosiddetto ius soli temperato che vuole dare la possibilità ai giovani nati o cresciuti in Italia di poter diventare italiani, ma purtroppo né la vecchia legislatura né quella attuale sembrano intenzionate ad andare in questa direzione.
Come si caratterizzano i migranti che arrivano da noi? Da dove vengono e come si distribuiscono sul territorio nazionale e nei paesi vicini?
In Italia la dinamica è stabile ormai da diversi anni proprio perché da un lato non abbiamo strumenti che garantiscono nuovi ingressi regolari per cui quelli che stiamo registrando sono tutti, come vengono tendenzialmente chiamati, irregolari.
Dei 5 milioni di cittadini stranieri residenti in Italia più di un quinto sono comunitari, al primo posto con poco più di un milione abbiamo i cittadini romeni, poi abbiamo comunità storiche come Marocco e Cina che in qualche modo ormai costituiscono una presenza stabile da qualche decennio.
Negli ultimi anni anche l'Europa orientale ha avuto un suo protagonismo e questo un po’ ribalta anche la percezione che si ha del tema dei migranti che non sono certamente solo subsahariani, che anzi costituiscono ancora una minoranza nel nostro paese.
Il sottotitolo del rapporto di quest'anno è particolarmente significativo “un nuovo linguaggio per le migrazioni”. Il rapporto oltre a descrivere con i numeri il fenomeno migratorio ne denuncia anche un racconto inappropriato.
Si, questo è l'obiettivo principale di questo rapporto che al di là dei numeri, un servizio che ormai facciamo da 27 anni, vuole centrare un tema che sta diventando di straordinaria attualità e fonte di grande preoccupazione ovvero il modo con cui si affronta nella narrazione comune il tema dei migranti.
C’è una percezione distorta e una distanza tra la percezione e la realtà che si amplia sempre di più con delle responsabilità precise che sono certamente della politica e non di rado anche dei media; su questo tema vogliamo richiamare l'attenzione di tutti, soprattutto degli operatori dell'informazione, affinché si ritorni ad un linguaggio non solo sostenibile, perché i toni spesso sono esasperati, ma soprattutto corretto e aderente alla realtà.
Si potrebbe iniziare proprio dalla lettura di questi rapporti, se ne fanno tanti ogni anno, che cercano con fatica di restituire una fotografia la più aderente possibile a quello che sta accadendo, ma quello che spesso registriamo è invece una grammatica delle migrazioni che si arricchisce di giorno in giorno di parole inappropriate, spesso connotate da grande falsità.
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