I modelli economici e produttivi dai quali veniamo hanno sempre considerato lo sviluppo economico come indipendente sia dal rispetto dell’ambiente che dalla stessa società, preferendo concentrare l’attenzione sul profitto quale unico obiettivo e univo parametro di successo per l’impresa.
Così, evidentemente, non è.
È seguendo questa logica che i territori ricchi di risorse sono stati sfruttati oltre la loro capacità di rigenerarsi. È seguendo questa logica che i territori più difficili da sfruttare sono stati letteralmente abbandonati perché incapaci di soddisfare un mercato sempre più speculativo ed esigente.
Vengono alla mente i tanti territori agricoli, soprattutto nelle zone di montagna, che sono stati abbandonati perché qualità e varietà della produzione offrivano margini di guadagno inaccettabili per le logiche commerciali del marketing e dei prezzi bassi.
Fortunatamente però ci sono esempi di istituzioni, imprese, persone che hanno avuto la forza e il coraggio di andare controcorrente, concentrandosi più su una valorizzazione del patrimonio naturale che sull’esasperazione del guadagno.
Ci sono istituzioni che investono realmente nello sviluppo sostenibile, imprese che responsabilmente restituiscono alla società parte del valore creato, persone che stanno riscoprendo il piacere del ritorno alla terra e il valore di una vita vissuta in armonia con il prossimo e con il creato.
L’aspetto che sorprende di più di queste esperienze è la pace e la gioia che sono capaci di esprimere, il contrario di quel paradigma per cui la felicità è legata alla ricchezza che il Santo Padre ci invita a mettere seriamente in dubbio evidenziando come sia spesso proprio nelle comunità meno ricche che la relazione umana trova la sua più gioiosa espressione.
Comunità felici non perché ricche, ma perché unite da relazioni armoniose con il Creato di cui si sentono parte.