Se da un lato c’è chi la definisce una moda passeggera o chi la considera una tendenza tutta radical chic da intellettualoidi snob, dall’altro qualcuno la vede una vera e propria risorsa dei tempi moderni. Risorsa che non solo evita sprechi di denaro e di cibo, ma indica una maggiore attenzione all’ambiente.
Fin qui quasi niente di nuovo, ma a dispetto dell’epoca di internet, una veloce ricerca alla vecchia maniera ha scovato una piccola enciclopedia degli avanzi risalente a circa quarant’anni fa; casa editrice Fabbri Editori. Tanto di cappello allora a chi, già all’epoca, definiva il cucinare con gli avanzi, un’arte.
Davvero curioso scoprire che anche negli anni settanta, nonostante i molti pregiudizi che oscuravano la “sorte di fior di vivande”, si parlava del ripercuotersi sui bilanci domestici del caro-alimenti, causa principale sempre l’austerity. Così, anche in quel periodo storico-politico, per ragioni economiche, a poco a poco acquisiva rilevanza il concetto del risparmio in cucina. Si legge nella piccola enciclopedia: “I denigrati avanzi hanno ripreso le loro funzioni, secondarie ma utili. Si è così tornati, sia pure forzatamente, a dare il giusto valore alle derrate alimentari, cercando di utilizzare al meglio ogni parte di esse”.
A mettere tutti d’accordo il bisogno di cibo come bisogno primordiale; un po’ meno concordia, invece, vi è sull’utilizzo degli alimenti: in tempi floridi, infatti, questa necessità spesso diventa spreco di ogni genere. Ecco perché è auspicabile che la crisi economica trasformi tante usanze sbagliate in stili di vita rispettosi di uno dei beni primari della Terra. Come a dire: di necessità virtù! Del resto si dice che un abile cuoco sia in grado di aprire un frigo, dare una rapida occhiata agli ingredienti disponibili e creare un piatto comunque gustoso.
Sempre più importante diventa la capacità di “ritrovare equilibrio e senso della misura anche a tavola e adoperare gli avanzi trattandoli alla stregua di un’ottima materia secondaria”. Quindi, armati di un po’ di pazienza, di attitudine al risparmio e tanta creatività sia guerra allo spreco e si butti un occhio alla tutela dell’ambiente.
Scopriamo inoltre, sempre grazie alla impolverata piccola enciclopedia vintage, che la capacità di usare gli scarti a tavola è già stata trattata non solo nelle rubriche di riviste di cucina, ma in un libro considerato un vero classico della cucina povera. Nel 1915, Olindo Guerrini, “una singolare e poliedrica figura di letterato”, pubblicò “Arte di utilizzare gli avanzi nella mensa”, libro che, nonostante la poca vicinanza con mentalità e costumi moderni, rimane una pietra di paragone e un fedele specchio di tempi difficili in cui è una virtù il sapersi arrangiare per evitare lo sperpero. L’intento era l’elogio del saper reinventare la materia prima e trasformarla in qualcosa che non ricordasse il cibo del giorno precedente. A quanto pare a incoraggiare Guerrini, fu addirittura il più noto Pellegrino Artusi, l’autore di “La scienza in cucina o l’arte di mangiar bene”; un manuale di cucina, che noi oggi definiremmo un cult per generazioni di bisnonni, ma tuttora molto apprezzato.
Balzando al ventunesimo secolo tutto è facilmente trasportabile nei nostri anni. I francesi la chiamano l’Art d’acomoder les rester, e nel Bel Paese, come in tante zone del mondo, di quest’arte molti ne hanno fatto una professione, altri hanno creato un business e altri ancora la considerano la battaglia principale per la salvezza del Pianeta Terra, con tanto di studi scientifici a supporto.
Sebbene le ambizioni di un breve excursus sulla cucina povera siano molto più modeste, l’auspicio è che arrivi un messaggio di puro realismo, un invito a recuperare quel che rimane in frigo e in dispensa, affinché ambiente e portafoglio ne traggano il massimo beneficio.
Un antico proverbio suona più o meno così “chi è dedito allo spreco la miseria porta in seco”, come a dire che chi più spreca più è in miseria.